Accettare, incondizionatamente accettare

Elaborazioni su uno dei pilastri dell'approccio terapeutico centrato sulla persona.

Di cosa parliamo quando parliamo di accettazione positiva incondizionata? Secondo Carl Rogers è questa una delle condizioni fondamentali affinchè una relazione (non solo) d'aiuto possa essere terreno fertile alla crescita personale ed all'integrazione del sé.

Con questa espressione, traduzione italiana dall'inglese unconditional positive regard, si vuole intendere un atteggiamento di calore e comprensione, libero da pregiudizio e preconcetto, e rivolto a qualsiasi espressione di sé che l'altro soggetto riveli nel corso della relazione.

Si parla di accettazione in quanto l'altro viene accolto a mente e cuore aperti, garantendogli uno spazio sicuro nel quale egli possa sentirsi libero di essere cio che è e provare ciò che prova nel qui ed ora. Il termine originale usato da Rogers, regard, ha una connotazione più vicina all'idea di cura, considerazione, interesse non possessivo. Si tratta di un'accettazione positiva nel senso che invita l'altro ad aver fiducia, facendogli percepire la persona di fronte come qualcuno che apprezza e ascolta con vera premura, spinto dal sincero proposito di capire e sostenere. È incondizionata perchè essa non dipende dalla natura del soggetto verso la quale è rivolta, nè dalle emozioni o dai concetti da lui espressi; non discrimina in base ad alcun giudizio di valore; non cambia al variare delle condizioni esterne o dello stato emotivo e mentale.

Se, nella relazione, veniamo accettati positivamente ed incondizionatamente, allora potremmo permetterci ciò che, molto probabilmente, in altre relazioni non ci riesce facile, vale a dire la libertà di dare espressione a qualsiasi immagine, emozione, opinione, fantasia che voglia emergere in noi: i freni inibitori del giudizio altrui vengono meno, sostituiti invece dal calore empatico della controparte.

A leggere Rogers infatti, un tale atteggiamento è in qualche modo derivato della capacità che abbiamo di provare empatia, quasi una conseguenza inevitabile del fare esperienza di tutto quello di cui l'altro fa esperienza come se fosse il proprio sentire o vissuto personale. Anche per questo, accettare incondizionatamente vorrebbe dire muoversi in sintonia con il proprio sentire personale più profondo, in altre parole, non può essere un espediente di facciata.

Per chi, come me, si è formato professionalmente seguendo l'approccio alla relazione col cliente suggerito da Rogers, alcune domande circa il concetto di accettazione positiva incondizionata non possono essere ignorate: è possibile mantenere questo atteggiamento in ogni interazione con l'altro? Ove non lo sia, come ci si comporta? Esistono modalità per coltivare e rafforzare l'accettazione incondizionata? Si può immaginare di adoperare tale atteggiamento in tutte le nostre relazioni?

Nella realtà giornaliera delle interazioni umane accettare l'altro incondizionatamente può tradursi in faccenda assai accidentata e accidentale. Sarà allora necessaria una spiccata sensibilità nel riconescere la nostra incapacità di accettare senza condizioni questo o quell'altro aspetto della persona che abbbiamo di fronte, in modo da prenderne nota e trarne spunto per un'indagine personale sui “punti ciechi” della propria personalità che l'altro fa scorgere in noi. Questo costante ascolto di sé, l'attenzione verso ciò che la relazione evoca dentro di noi e la pratica dell'empatia consentono al nostro spirito d'essere prono e pronto ad accogliere, in maniera autenticamente interessata e premurosa.

In fondo però, Rogers sostiene che l'accettazione incondizionata è una premessa valida solo teoricamente, nelle relazioni vissute si farà piuttosto esperienza del range completo di gradi d'accettazione verso l'altro: a volte condizionata, a volte magari negativa, altre volte saremo capaci di sperimentarla nella sua pienezza. Tutto ciò può accadere quanto in un setting di natura professionale, tanto più e con maggior frequenza negli scambi con le persone che ci stanno attorno e a cuore quotidianamente.

Anche quando la persona oggetto della nostra accettazione incondizionata siamo noi stessi vi sarà un grado di accettazione variabile, talvolta parziale, talvolta condizionata o negativa, ed è naturale che sia così. Non si vuole però implicare che sia indispensabile accettare totalmente sé stessi prima d'esser in grado di accettare gli altri. Quello che è imprescindibile, a me sembra, è il fare esperienza di accettazione incondizionata in quanto tale, qualunque possa essere la fonte dalla quale la si ricavi: che sia l'abbraccio della persona amata, nell'abbandono in una musica che ci rapisce, durante la chiarezza di un'esperienza mistica, l'opera d'arte che ci muove alle lacrime, la lista è potenzialmente lunghissima. Più volte ci si esponga all'opportunità di dare o ricevere o, semplicemente, provare in profondità il calore non oppressivo ma totale dell'accettazione empatica, tanto più saremmo in grado di ricrearla verso noi stessi, e in un circolo virtuoso, verso gli altri, ed ogni volta che s'incontra l'altro in questo luogo di amore il livello di accettazione di sé (e di riflesso, degli altri) sarà un po' più elevato.

Soffermandomi su quanto appena scritto, riconosco nell'idea di accettazione positiva incondizionata un sentimento di calore, proprio quello di cui parla Rogers nel descriverla, ed una sensazione vivida di apertura, di presenza, di sicurezza. Se lasciassi affiorare in me un ricordo che si avvicini a descrivere il mio sentire a riguardo, di getto ecco in mente torna il ricordo di mia nonna materna, che viene incontro ad abbracciarmi appena sentito il tonfo che segnalava il mio rientro a casa da scuola, il pesantissimo zaino che scaraventavo giù dalle spalle con impazienza. Riaffiora l'immagine del volto della mia maestra d'italiano alle elementari, che per anni e anni ha continuato a fissarmi con lo stesso sorriso, intento, premuroso e incoraggiante, così come aveva fatto tra i banchi di scuola; riappare un'espressione usata da Rogers, il quale descrive il clima che si crea quando empatia, congruenza e accettazione sono incorporati dal terapista come una sorta di liquido amniotico all'interno del quale la personalità del cliente può evolvere in direzione di una sempre maggiore realizzazione. Di certo, ai miei occhi l'accettazione incondizionata ha una connotazione spiccatamente femminile, quasi materna direi.

Oltre a ciò, vi è una connessione che a mio avviso lega il concetto di accettazione incondizionata a idee quali la compassione e l'equanimità, le quali si trovano al centro di tradizioni filosofiche diverse e che in particolare negli insegnamenti buddhisti acquistano una rilevanza primaria. Il principio di compassione nel buddhismo è collegato all idea di buddhità, la quale è un attributo potenzialmente presente in ciascuno di noi, incondizionatamente. La realizzazione ultima, l'esperienza del Nirvana, non è il risultato di fattori esterni, il Buddha non era diverso dai suoi contemporanei e allo stesso modo, coscienti o meno di esserlo, oltre il velo del condizionamento esterno siamo tutti Buddha in potenza. Pertanto, una volta pienamente consapevoli che la persona che abbiamo di fronte, ancorchè repulsiva, odiosa, distante anni luce dal nostro modo di vivere la vita, non è diversa da Buddha, in quanto ha in sé tutto ciò di cui necessita per diventarlo, allora il modo di relazionarsi con essa sarà per forza di cose mosso da un'accettazione ed una compassione accentuata, e rivolta in particolare a quegli aspetti che tenderebbero, in difetto di compassione, a farci reagire negativamente, in chiusura, con modalità caratterizzate da intolleranza e pregiudizio.

Nell'alveo del buddhismo tibetano rientra una potente pratica meditativa chiamata tonglen e conosciuta con nomi diversi, tra cui heart meditation (meditazione del/col cuore). Essa era in origine (e tutt'ora) adoperata, assieme ad altri insegnamenti esoterici, con lo scopo di facilitare il passaggio del morente durante lo stadio intermedio e subito successivo alla morte fisica. Tonglen in tibetano vuol dire dare e ricevere, e l'essenza di tale pratica sta nel prendersi carico nel proprio cuore della sofferenza e del dolore altrui, e di ritorno donare serenità, compassione e benessere, usando il respiro per modulare l'alternanza del ricevere e del dare, e concentrandosi sul proprio cuore come propulsore di tale azione. Si può congetturare che con l'atto di abituare il cuore a dare e ricevere sempre di più, la nostra capacità di accettazione non sarà più condizionata da particolari motivazioni o fattori esterni, piuttosto sarà organicamente connaturata alla nostra modalità di stare nel mondo, e dipenderà unicamente dalla nostra volontà di farne dono agli altri.

Nella letteratura in materia poi, il concetto di accettazione positiva incondizionata è stato messo a confronto con, ad esempio, l'esperienza della cosiddetta enjoyable beauty (piacevole bellezza, che non necessità di ragionamento o conoscenza per essere provata), così come si può farne esperienza dinnanzi ad un'opera d'arte capace di coinvolgerci in maniera viscerale, o di fronte alle gesta eroiche raccontate in un film, un'opera letteraria o nello sport, oppure al cospetto del sublime spettacolo della Natura. Mi sembra uno spunto condivisibile su come questa condizione teorica possa essere interpretata come un'attitudine che trascende la realtà cognitiva o comportamentale, svilluppandosi invece nella parte più recondita, organismica della nostra esperienza; può essere immaginata come un abbandono della propria individualità per abbracciare una dimensione assai più vasta ed accogliente di sé e dell'altro. Una manifestazione comune ed accessibile a tutti gli essere umani, vissuta da ciascuno di noi almeno una volta incontrovertibilmente, nella totalità avvolgente e nutritiva del grembo materno.


*Bibliografia di riferimento:
- Iberg, James R.; Unconditional Positive Regard: Constituent Activities; The International Focusing Institute (2001)
- Rogers, Carl R.; A way of being; Mariner Books (1995)
- Rogers, Carl R.; Terapia centrata sul cliente; Giunti Editore (2013)